CESARE ZAVATTINI L’ECLETTICO E IMMENSO ARTISTA.

 

Va bene, è storia vecchia la sua. Ma l’arte eccelsa non ha mai fine. E’ un bene prezioso che si deve tramandare, si deve conoscere, non si deve dimenticare. Un uomo che racchiude in sé l’Arte con la A maiuscola, dal momento che per lui essere scrittore, poeta, pittore, sceneggiatore e soggettista… e anche giornalista di grosso spessore è cosa del tutto naturale. La sua vita da artista l’ha iniziata in pieno fascismo, periodo storico abbastanza controverso e inoltre, la sua arte parecchio libertina, cozzava contro l’ideologia del cattolicesimo restio a molti dei temi che Zavattini amava affrontare.

Metto qui il link alla sua biografia., così mi rimane la sua traccia.

La biografia che segue è tratta da http:// biografieonline.it/biografia.htm?BioID=282&biografia=Cesare+Zavattini

Soggettista, sceneggiatore e scrittore, Cesare Zavattini nasce a Luzzara (Reggio Emilia) il 20 settembre 1902. Dopo la licenza liceale, si iscrive alla facoltà di Legge a Parma e nel 1923 entra come istitutore nel collegio Maria Luigia.

Avendo scoperto col tempo di avere una forte vocazione letteraria, nel 1930 si trasferisce a Milano, dove ha modo, grazie alla sua caparbietà e alla sua flessibilità, di introdursi negli ambienti editoriali del tempo.

Notato per la sua bravura, per il bello scrivere e per la sagacia delle sue osservazioni, sviluppa una brillante carriera cominciando a collaborare a numerose riviste e arrivando addirittura a dirigere per Rizzoli tutti i periodici dell’editore. In particolare, sempre negli anni ’30, prende in mano il periodico rizzoliano “Cinema illustrazione”, molto importante per capire la successiva evoluzione dello scrittore, fortemente attratto appunto dal cinema e deciso a mettere in pratica le sue attitudini di sceneggiatore, in quel periodo ancora sopite.

A fianco dell’intensa attività di giornalista non bisogna dimenticare l’eccezionale capacità di Zavattini come scrittore, a cui si devono anche libri ricchi di fantasia e di un surreale umorismo, quali “Parliamo tanto di me”, “I poveri sono matti”, “Io sono il Diavolo” o ” Totò il buono”, opere che lo impongono all’attenzione della critica e del pubblico, come uno dei più originali umoristi italiani di quegli anni.

Cesare Zavattini l’eclettico e immenso artista

Nel cinema comincia a lavorare come soggettista e sceneggiatore nel 1935, esordendo con “Darò un milione” (M. Camerini) e proseguendo con altri film di minor spessore. Nel 1938 inoltre inizia a dipingere, una delle grandi passioni mai abbandonate della sua vita.

In questo periodo Zavattini può dare spessore concreto alla sua vera passione, quella dello sceneggiatore, grazie al contatto con registi straordinari (ad esempio con Alessandro Blasetti, con cui nel 1942 collabora al film “Quattro passi tra le nuvole”).

Ma su tutti questi incontri spicca il geniale Vittorio de Sica. Con lui Zavattini esprimerà al meglio e soprattutto in autonomia le sue capacità inventive, che troveranno la loro più partecipata espressione nei film passati alla storia come “neorealisti”.

I prodromi dello stile neorealista si possono scorgere, oltre che nei film dello stesso Blasetti, già nel desichiano “I bambini ci guardano” del 1943. In seguito sarà la volta di capolavori passati alla storia del cinema come “Sciuscià”, “Ladri di biciclette”, “Miracolo a Milano” e “Umberto D”. L’incontro con Vittorio De Sica è il primo capitolo di un’amicizia e di un sodalizio artistico che li vedrà protagonisti della stagione d’oro del neorealismo (in pratica, tutti gli anni ’50), e che condizionerà tutta la successiva attività cinematografica dei due autori.

Il “Dizionario del Cinema Italiano 1945/1969” di Gianni Rondolino (edito da Einaudi nel 1969), parlando di Zavattini riporta: “A partire dal 1945, andrà imponendosi come il propugnatore e il teorico di un cinema antiromanzesco, cronachistico, quotidiano, tutto intento a cogliere l’uomo nei momenti più intimi e rivelatori della sua esistenza. [I film diretti da De Sica] sono sempre più depurati di ogni elemento falsamente drammatico per giungere alla contemplazione critica di una determinata condizione umana“.

Accanto alla vena più propriamente “neorealistica” della sua opera è sempre stata presente tuttavia anche una vena che si potrebbe definire “surrealista”, caratteristica delle sue prime prove di scrittore ma che ha anche punteggiato la sua intera carriera di sceneggiatore (anche se con risultati alterni). Questo lo si nota molto bene sia in “Miracolo a Milano” (1951), o ne “Il giudizio universale” (1961), ambedue diretti dall’inseparabile Vittorio De Sica.

Tra le altre sue opere di rilievo, vanno almeno ricordate “E’ primavera” (1949, R. Castellani), “Bellissima” (1951, L. Visconti), “Prima comunione” (1950, A. Blasetti), “Buongiorno, elefante!” (1952, G. Franciolini) e “Il tetto” (1956,V. De Sica), che può essere considerato il film che inizia il periodo involutivo della poetica zavattiniana e segna la crisi del neorealismo.

Zavattini ha comunque lavorato durante la sua lunga e luminosa carriera anche con altri grandi registi del cinema italiano e internazionale. Ne citiamo alcuni: Michelangelo Antonioni, Jacques Becker, Mauro Bolognini, Mario Camerini, Renè Clement, Damiano Damiani, Giuseppe De Santis, Luciano Emmer, Federico Fellini, Pietro Germi, Alberto Lattuada, Carlo Lizzani, Citto Maselli, Mario Monicelli, George Wilhelm Pabst, Elio Petri, Gianni Puccini,Dino Risi, Nelo Risi, Roberto Rossellini, Franco Rossi, Mario Soldati, Luigi Zampa.

Rispetto ai limiti concessi dalla pur necessaria costruzione spettacolare del film, Zavattini cercherà di andare oltre a queste restrizioni con una serie di film-inchiesta realizzati da diversi registi su temi appositamente scelti: “Amore in città” (1953) in cui volle giungere al diretto contatto con la realtà nel suo farsi nell’episodio “Storia di Caterina” (F. Maselli); “Siamo donne” (1953), “Le italiane e l’amore” (1961), “I misteri di Roma” (1963), in cui portò alle estreme conseguenze la sua poetica del “pedinamento della realtà”.

Sul piano strettamente organizzativo s’impegnò a fondo nella battaglia per una nuova organizzazione della cultura e del cinema, svolgendo una funzione rilevante nelle associazioni degli autori cinematografici e delle cooperative.

Mentre continuava a dipingere e scrivere (nel 1973 pubblica una raccolta di poesie in dialetto luzzarese), promuove tantissime iniziative, tra cui una rassegna annuale di pittura naïf e la riscoperta collettiva della propria storia di un paese emiliano, Sant’Alberto (RA). Di particolare rilevanza nella sua vita anche la lunga presenza a Cuba, da dove lo chiamarono per collaborare alla nascita del nuovo cinema dopo la rivoluzione.

Il lavoro nel cinema “per le sale” e in programmi tv gli consente di rilevarne anche contraddizioni e limiti: teorizza e promuove la sperimentazione di nuove forme filmiche, tra cui i Cinegiornali liberi.

Nel 1979, insieme ad altre personalità della cultura e della politica, Zavattini partecipa alla fondazione dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, diventandone presidente: continuerà a esserlo per i dieci anni successivi.

In conclusione diamo ancora la parola a Gianni Rondolino: “Per il grande apporto creativo che egli ha dato al cinema italiano del dopoguerra e all’affermazione del neorealismo e per il fervore di iniziative, soprattutto tra i giovani, che ha promosso, facilitato e influenzato, Zavattini occupa un posto di grande importanza nella storia del cinema, non solo italiano. Al suo nome rimane legato tutto un periodo, estremamente ricco di opere di valore e di fermenti culturali, che ha caratterizzato un largo settore della produzione cinematografica: il neorealismo“.

Cesare Zavattini muore a Roma il 13 ottobre 1989, viene poi sepolto nell’amata Luzzara.

PREMI RICEVUTI

1948-49: Nastro d’argento per il miglior soggetto e la migliore sceneggiatura (Ladri di biciclette)

1949-50: Nastro d’argento per il miglíor soggetto e la migliore sceneggiatura (E’ primavera)

1950-51: Nastro d’argento per il miglior soggetto e la migliore sceneggiatura (Prima comunione)

1957: Nastro d’argento per il miglior soggetto e la miglíore sceneggiatura (Il tetto)

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Di Gianni Nachira

E' presto detto: Da lavoratore, una volta raggiunta la pensione, sono riuscito a prendere in mano il sacco dove per anni sono state rinchiuse le mie passioni in campo artistico. Non è stato facile, perché l'età e l'impossibilità di farlo a tempo debito hanno parlato chiaro: "NON PUOI". Al ché io ho risposto: "Ma davvero?" Allora mi sono cimentato a fare teatro, a fare musica. FARE, CREARE, senza mollare e nonostante le difficoltà che la vita ancora oggi mi pone ad ostacolo, proseguo imperterrito sfidando il fato che da quasi sessant'anni mi assegna una sorte avversa. In questo mio sito ho messo insieme una parte di me e continuerò a farlo perché rimanga traccia di una storia di vita forse banale, ma comune a molti.

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