Strumenti musicali a corda
Strumenti musicali a corda, denominati anche cordofoni, il cui suono è prodotto dalla vibrazione di corde intonate ad altezze determinate. Le corde possono essere di lino, seta, nailon, metallo (acciaio, ferro, ottone, rame) o minugia (budella di animali, specialmente ovini).
Di norma vengono montate sullo strumento in modo che un’estremità risulta bloccata contro un elemento fisso (la cordiera), mentre l’altro capo è collegato a un dispositivo mobile (il pirolo o bischero) che ruotando aumenta o diminuisce la tensione della corda stessa, permettendole di raggiungere l’intonazione giusta.
Una corda libera (cioè che vibra in tutta la sua lunghezza) emette una determinata nota; per ottenere ciascuna delle altre note si tocca la corda in un punto preciso premendola contro la tastiera (il manico) dello strumento (tastiera che può essere fornita di stanghette trasversali che facilitano l’intonazione, come nella chitarra, oppure libera come nel violino e negli strumenti della sua famiglia).
Così facendo il segmento vibrante della corda viene accorciato e l’altezza del suono cresce in proporzione permettendo di eseguire l’intera scala.
I diversi sottogruppi di strumenti musicali a corda.
Essi includono la famiglia del violino e della viola, nell’ambito della quale il suono è generalmente prodotto sfregando un archetto sulle corde, o strumenti come il pianoforte, il clavicordo o il dulcimer, il cui suono è dato dalla percussione di un martelletto direttamente sulle corde (nel pianoforte e nel clavicordo tramite l’utilizzo di una tastiera.
Nel dulcimer tramite martelletti manovrati dalle dita); questo gruppo può essere dunque classificato tra gli strumenti a corda percossa.
I cordofoni includono anche strumenti suonati pizzicando le corde direttamente con le dita (tra cui numerose varianti di arpa, chitarra classica, zither e liuto) o con un plettro (mandolino, banjo), il clavicembalo e vari tipi di virginale.
Per questi ultimi strumenti è prevista la presenza di una tastiera, come nel pianoforte. Il termine “archi” è oggi comunemente utilizzato per indicare violini, viole, violoncelli, contrabbassi e i loro predecessori nella musica antica.
VIOLINO
Strumento musicale ad arco, il violino è la taglia più acuta della famiglia che da esso prende nome. Gli altri membri della famiglia del violino sono la viola, il violoncello e il contrabbasso.
L’arco o archetto è una bacchetta stretta e leggermente incurvata di legno, della lunghezza di circa 75 cm, alle cui estremità è fissata una banda tesa di crini di cavallo.
Il violino monta quattro corde accordate per quinte: sol, re’, la’, mi”. Nei violini antichi le corde utilizzate erano interamente di budello; oggi possono essere di budello, oppure di budello ricoperto di alluminio, argento, o acciaio.
Costruzione e tecnica
La maggior parte dei violini ha una tavola armonica in abete ben stagionato; il fondo solitamente in acero.
Altre parti del violino sono le fasce, il manico, la tastiera, il riccio, il cavigliere, il ponticello, la cordiera e i fori di apertura sulla tavola, detti “effe” a causa della loro forma . La tavola, il fondo e le fasce sono uniti in modo da formare una cassa armonica.
La cassa armonica contiene l’anima, una sottile bacchettina di legno posta in prossimità del ponticello in modo da collegare la tavola con il fondo.
Sulla parte interna della tavola è inoltre incollata una sottile striscia di legno, o “catena”, che si trova in posizione longitudinale all’altezza della corda più grave e ha il compito di rafforzare la tensione della volta del piano armonico.
Oltre a rafforzare la struttura, l’anima e la catena svolgono un ruolo molto importante nella trasmissione del suono. Le corde partono dalla cordiera, poggiano sul ponticello, passano sopra il manico e giungono al cavigliere, dove sono fissate ai piroli.
L’esecutore può ottenere note di diversa altezza premendo con la mano sinistra le corde stesse sulla tastiera, alterando così la lunghezza della corda vibrante. Le corde vengono poste in vibrazione e producono suono nel momento in cui l’esecutore sfrega l’archetto, sorretto dalla mano destra, sulle corde stesse.
Storia degli strumenti musicali a corda: Il violino
Il violino appare per la prima volta in Italia nei primi anni del secolo XVI. Lo strumento potrebbe derivare da due strumenti medievali ad arco, la viella e la ribeca, e da uno strumento tipico del Rinascimento italiano, la lira da braccio, simile morfologicamente al violino, ma con due corde di bordone al di fuori della tastiera.
I primi importanti costruttori di violini furono gli italiani Gasparo da Salò (1540-1609) e Giovanni Maggini (1579-1630 ca.) di Brescia e Andrea Amati di Cremona.
L’apice dall’arte liutaria nella costruzione dei violini fu raggiunto nel corso del XVII e del XVIII secolo nelle botteghe dei liutai Antonio Stradivari e Giuseppe Guarneri, entrambi di Cremona, e dall’austriaco Jakob Stainer.
Se confrontati con i violini più recenti, gli strumenti di quel periodo presentano una tastiera assai più corta, un manico più sottile e posto con un’angolazione minore rispetto alla tavola armonica; un ponticello più piatto e corde costruite esclusivamente in budello. Anche gli archetti differivano radicalmente da quelli attuali.
Queste caratteristiche costruttive furono modificate nel corso del XVIII e del XIX secolo per donare al violino maggior potenza di emissione e comportarono conseguentemente un cambiamento di timbro. Per questo motivo numerosi violinisti del XX secolo hanno deciso di recuperare gli strumenti antichi nella loro forma originaria, in modo da poter eseguire secondo una prassi maggiormente affidabile i capolavori del passato.
L’epoca Barocca
A partire dall’epoca barocca, quasi tutti i maggiori compositori hanno scritto composizioni comprendenti il violino, ma un grande e particolare impulso allo sviluppo della musica per lo strumento venne da Arcangelo Corelli e Antonio Vivaldi. Fra i concerti solistici più noti vi sono quelli di Beethoven, Brahms, Mendelssohn-Bartholdy e Cajkovskij.
Tra i maggiori virtuosi del XIX secolo possiamo ricordare gli italiani Giovanni Viotti e Niccolò Paganini, i tedeschi Louis Spohr e Joseph Joachim, lo spagnolo Pablo de Sarasate, e i belgi Henri Vieuxtemps ed Eugène Ysaÿe.
Nel corso del XX secolo il violino ha conquistato nuove mete artistiche e tecniche grazie a musicisti come Isaac Stern, Yehudi Menuhin, Fritz Kreisler, Jascha Heifetz, Nathan Milstein, Joseph Szigeti, David Oistrach, Salvatore Accardo e Mischa Elman.
VIOLA
Strumento contralto della famiglia del violino. Possiede quattro corde, intonate nel seguente modo: do sol re1 la1 (do = do sotto il do centrale; la = la sopra il do centrale). Lo strumento è intonato a una quinta di distanza dal violino e può variare nelle dimensioni assai più di quanto non avvenga per il violino o per il violoncello.
La maggior parte delle viole sono particolarmente risonanti e dolci di timbro nel registro grave, e ricche di suono nel registro medio e acuto. Gli esemplari più antichi a noi noti sono due grandi viole costruite da Gasparo da Salò. La viola fu utilizzata inizialmente in produzioni anche di grande respiro, come nell’opera Orfeo (1607) di Claudio Monteverdi; in seguito però lo strumento assunse un ruolo maggiormente subordinato nell’ambito dell’orchestra.
Dal momento in cui divenne lo strumento protagonista, come nella sinfonia per viola e orchestra Aroldo in Italia del 1834 di Hector Berlioz e in altre composizioni di Brahms e Schumann, la viola fu costruita in taglie di dimensioni piuttosto considerevoli. A partire dal XVIII secolo lo strumento occupò un posto centrale nella musica da camera e particolarmente nella formazione del quartetto d’archi.
VIOLONCELLO
Strumento ad arco della famiglia del violino, retto dall’esecutore in posizione verticale fra le ginocchia. Possiede quattro corde intonate do sol re la (do due ottave sotto al do centrale; la sotto al do centrale). Il suo vasto ambito comprende più di quattro ottave.
I violoncelli più antichi giunti fino a noi furono costruiti intorno alla metà del XVI secolo dal liutaio italiano Andrea Amati.
Fino alla fine del XVIII secolo lo strumento fu utilizzato soprattutto per realizzare parti di accompagnamento o di basso continuo; non mancarono però composizioni dedicate specificamente a esso, come le sei suite per violoncello solo scritte da Johann Sebastian Bach intorno al 1720, o i concerti per violoncello composti da Antonio Vivaldi e da Luigi Boccherini.
Nel corso del XIX secolo di grande rilievo sono le composizioni di Johannes Brahms, che scrisse un doppio concerto per violino e violoncello, e del compositore ceco Antonín Dvorák.
Nel XX secolo furono compositori come Sergej Prokof’ev, Dmitrij Šostakovic ed Edward Elgar a esplorare le enormi capacità espressive dello strumento.Tra i più importanti violoncellisti del Novecento si ricordano lo spagnolo Pablo Casals e il russo Mstislav Rostropovic.
PIANOFORTE
Anche il pianoforte è uno strumento musicale a corda: Strumento cordofono a tastiera, derivato dal clavicembalo e dal clavicordo; il principio dei martelletti che percuotono le corde e vengono azionati dalla tastiera sembrerebbe provenire dal dulcimer.
Lo strumento differisce dai suoi predecessori proprio a causa della presenza di martelletti che, percuotendo la corda con maggiore o minore intensità a seconda della forza impressa dalle dita ai tasti, permettono di dar vita a un sensibile effetto di “piano” e “forte”.
Per questa ragione il primo modello di cui si abbia notizia (1709), costruito dal fiorentino Bartolomeo Cristofori, ritenuto appunto l’inventore del pianoforte, fu detto “gravicembalo col pian e forte”. Oggi sono conosciuti solamente due suoi strumenti: il primo, datato 1720, è conservato presso il Metropolitan Museum di New York; mentre l’altro, risalente al 1726, si trova presso il museo di Lipsia, in Germania.
Primo periodo di evoluzione del pianoforte
Il momento più importante nello sviluppo dello strumento si ebbe in Germania nel 1725, quando Gottfried Silbermann di Friburgo, fabbricante di organi, adottò il sistema meccanico inventato da Cristofori.
Forse il contributo più rilevante fu dato da Johann Andreas Stein di Augusta, che perfezionò il sistema di scappamento favorendo lo sviluppo degli strumenti della scuola viennese amati da Mozart e preferiti da numerosi compositori tedeschi della fine del XVIII e degli inizi del XIX secolo. Intorno al 1760 diversi costruttori si trasferirono dalla Germania a Londra dando inizio alla scuola inglese che, con John Broadwood e altri, si dedicò al potenziamento dello strumento.
Il francese Sébastien Erard fondò invece la scuola del suo paese nell’ultimo decennio del Settecento, e nel 1823 creò il doppio scappamento, in uso ancora oggi.
A partire da questi anni, costruttori di tutte le nazioni europee si impegnarono per perfezionare il pianoforte. Gli strumenti costruiti in passato e quelli oggi provenienti dalla Germania e dagli Stati Uniti sono considerati generalmente fra i migliori esemplari.
Vanno ricordati in particolare i pianoforti creati da Karl Bechstein e dai suoi discendenti, e dagli statunitensi Steinway e Chickering. Sono degni di nota anche i pianoforti austriaci Bösendorfer.
L’estensione dei primi pianoforti era, come nei clavicembali, di quattro o al massimo cinque ottave. L’ambito fu poi gradualmente esteso, fino a raggiungere più di sette ottave.
Venne inoltre potenziata la struttura dello strumento, affinché questo potesse sopportare l’accresciuta tensione delle corde. Uno strumento di Bösendorfer possiede una ulteriore estensione nel registro grave, raggiungendo così un ambito di otto ottave.
Struttura moderna
Il pianoforte moderno è composto da sei parti fondamentali (nella descrizione che segue i numeri si riferiscono ai relativi numeri fra parentesi presenti nel diagramma della struttura di un pianoforte).
1) Il telaio è solitamente in ferro. Nella parte posteriore è sistemato il raccoglitore delle corde, mentre al principio è posta la cordiera, dove sono sistemate le caviglie, attorno alle quali vengono fissate le corde per essere poi intonate.
2) La tavola armonica, una sottile tavola di legno che si trova sotto le corde, rinforza il suono vibrando al momento dell’emissione delle note.
3) Le corde, in lega d’acciaio, variano in diametro e in lunghezza dal registro acuto a quello grave. Alle note più acute sono assegnate due o tre corde intonate all’unisono. Le corde più gravi sono singole e rese più pesanti da un sottile rivestimento di rame.
4) La meccanica è l’insieme delle parti che permettono ai martelletti di colpire le corde (vedi oltre, il funzionamento della meccanica). La parte più in vista della meccanica è la tastiera, sulla quale l’esecutore agisce direttamente con le dita.
I tasti bianchi, che corrispondono alle note naturali, sono ricoperti d’avorio o di plastica, mentre quelli corrispondenti alle note alterate, neri, sono d’ebano o anch’essi di plastica.
5) I pedali sono leve manovrate dai piedi. Il pedale di risonanza, o “del forte”, solleva tutti gli smorzatori, lasciando vibrare liberamente le corde percosse anche dopo la ricaduta del tasto. Il pedale “del piano”, o sordina, avvicina i martelletti, oppure sposta la meccanica a destra o a sinistra, in modo che il martello colpisca una sola delle corde corrispondenti al tasto premuto; in entrambi i casi il risultato è una riduzione dell’intensità sonora.
Alcuni pianoforti possiedono un terzo pedale, posto al centro, che sostiene solo le note che vengono suonate in un determinato momento. L’uso dei pedali contribuisce a variare con sfumature la qualità del timbro dello strumento.
Pianoforti verticali
La maggior parte dei pianoforti verticali possiede un pedale che, se premuto, interpone una striscia di feltro fra le corde e i martelletti, ottenendo in questo modo un suono attutito. 6) I pianoforti, in base alla loro forma, possono essere a coda, verticali o rettangolari. Quest’ultimo modello è caduto in disuso da tempo, soppiantato dal pianoforte verticale.
Pianoforti a coda
I pianoforti a coda sono costruiti in diverse misure e vanno dal gran coda da concerto, lungo fino a 290 cm, al quarto di coda o piccola coda, che raggiunge i 150 cm.
Nel pianoforte verticale le corde sono tese appunto verticalmente o in diagonale dall’alto al basso dello strumento. Nei pianoforti verticali e nei piccoli a coda, le corde sono generalmente sovrapposte: le corde del registro grave incrociano infatti diagonalmente quelle alte, in modo da distribuire uniformemente la tensione e da occupare meno spazio.
La tensione delle corde in un pianoforte a gran coda può raggiungere le trenta tonnellate; in un pianoforte verticale circa quattordici.
Meccanica dell’azione
La caratteristica fondamentale che distingue il pianoforte dagli altri strumenti a tastiera è che il martelletto, una volta colpita la corda, ricade indietro, grazie al meccanismo dello scappamento, anche se il tasto che lo ha lanciato non torna in posizione di riposo.
Inoltre, quando il tasto viene premuto, un blocchetto di legno rivestito di feltro (smorzatore) si solleva, ricadendo quando il tasto viene lasciato dall’esecutore e andando così a soffocare la vibrazione della corda.
Lo schema che segue mostra più dettagliatamente questo movimento. I numeri fra parentesi si riferiscono a quelli del diagramma relativo alla meccanica di un pianoforte a gran coda. Il tasto (1) del pianoforte è una leva imperniata su un bilanciere (2).
Quando si preme il tasto, la parte posteriore, o coda, si solleva e il perno (3) mette in movimento il cavalletto (4), che è incernierato.
L’estremità libera del cavalletto si alza, portando con sé un elemento a L, lo scappamento (5) e lo spingitore per ripetizione (9).
Lo scappamento aziona il rullino (6) di feltro fissato all’asta del martello (7); così il martelletto si solleva. Il movimento verso l’alto dello scappamento si arresta quando l’estremità sporgente di questo tocca il bottoncino di regolazione (8).
Il martello prosegue la sua corsa staccandosi dallo scappamento e colpisce le corde. Anche lo spingitore (9) si solleva e resta sollevato finché il tasto non viene rilasciato. Il martello ricade, ma non completamente: viene arrestato dal rullino dell’asta del martello (6) che colpisce lo spingitore (9) sollevato.
Lo scappamento (5) può così tornare in posizione di riposo sotto l’asta del martello parzialmente sollevato. Contemporaneamente, il paramartello (11) impedisce che il martello rimbalzi contro le corde.
Se il tasto viene parzialmente rilasciato, il martello si muove libero dal paramartello e lo spingitore per ripetizione rimane sollevato. Se si preme nuovamente il tasto parzialmente rilasciato, lo scappamento (5) può spingere di nuovo il rullino (6) e l’asta del martello (7) verso l’alto.
Questo sistema permette la rapida ripetizione di una nota senza che il tasto e il martello debbano ritornare nella posizione originaria. Intanto, la coda del tasto ha sollevato anche il montante (12) che stacca lo smorzatore (13) dalle corde corrispondenti al tasto.
Quando il tasto viene rilasciato, anche parzialmente, lo smorzatore ricade sulle corde e ne blocca la vibrazione. Quando il tasto è del tutto libero, tutte le parti del meccanismo ritornano alla loro posizione originaria a causa della gravità.
Contrariamente a ciò che avviene nei pianoforti a coda, nei pianoforti verticali non tutte le parti del meccanismo possono tornare a riposo sfruttando la gravità, poiché la meccanica è disposta verticalmente e non orizzontalmente.
Per questo motivo nella meccanica dei verticali sono previste piccole strisce di stoffa che riportano nella posizione originaria alcune parti del meccanismo.
CLAVICEMBALO
Strumento a corde con tastiera, nel quale le corde vengono pizzicate per poter produrre il suono. Venne sviluppato a partire dal XIV secolo e, in misura più significativa, nel secolo successivo. La sua diffusione fu notevole fra il XVI e la fine del XVIII secolo, quando cedette il suo ruolo al pianoforte.
Nel corso del XX secolo lo strumento è ritornato in auge, arricchito da un nuovo repertorio, anche grazie a una corretta esecuzione della letteratura a lui dedicata nei secoli passati. Il suono brillante e incisivo delle corde in metallo, pizzicate tramite la tastiera, dona grande chiarezza alle linee melodiche eseguite sullo strumento.
Il clavicembalo è particolarmente efficace nelle composizioni contrappuntistiche, quando due o più linee melodiche vengono suonate simultaneamente.
Un autore di grande rilievo in questo senso è senz’altro Johann Sebastian Bach, ma non vanno dimenticati anche numerosi autori suoi contemporanei, tra cui Domenico Scarlatti, Jean-Philippe Rameau e François Couperin.
Costruzione e meccanica
Il clavicembalo possiede usualmente una cassa a forma di ala, come i pianoforti a coda, ma più lunga e stretta. I clavicembali sono stati costruiti anche con altre morfologie, andando però in questo modo a formare altri tipi di strumenti: il virginale, più piccolo del clavicembalo e di forma oblunga; la spinetta, di forma poligonale e di dimensioni ridotte; e il meno diffuso clavicytherium, una sorta di clavicembalo verticale.
Fra il XVI e il XIX secolo i termini spinetta e virginale sono stati utilizzati, impropriamente, come sinonimi. Tutti i clavicembali possiedono il medesimo sistema di meccanica per produrre il suono.
A ogni corda, singola, corrisponde un tasto; un’estremità di quest’ultimo, rivolta verso l’esterno, viene premuta dall’esecutore, mentre l’altra estremità è collegata a un salterello, l’astina di legno alla cui sommità viene inserito un plettro.
Quando preme il tasto, il salterello si solleva permettendo al plettro di pizzicare la corda. Il salterello è dotato di un sistema di scappamento grazie al quale nel percorso di discesa non pizzica nuovamente la corda.
Poiché il volume sviluppato da una corda pizzicata in questo modo non varia aumentando la pressione sulla tastiera, nel corso del tempo sono stati sviluppati alcuni sistemi per ovviare alla limitazione. Molti clavicembali possiedono infatti almeno due file di corde, con due file corrispondenti di salterelli.
Grazie a un sistema meccanico, il cosiddetto registro, è possibile utilizzare una o più file simultaneamente, aumentando o diminuendo conseguentemente l’intensità sonora.
Una fila di corde può essere intonata un’ottava sopra rispetto alla fila di base: in questo caso è chiamata a quattro piedi, mentre la fila di base è definita a otto piedi.
Alcuni clavicembali tedeschi del Settecento possiedono una fila di corde intonate un’ottava più grave rispetto all’otto piedi, e cioè a sedici piedi. I clavicembali possono inoltre possedere due tastiere, utilizzabili contemporaneamente o separatamente, aumentando così ancor più le possibilità espressive di timbro e di volume.
Uno strumento tipico a due tastiere del Settecento possiede nella tastiera inferiore due registri, uno a otto e uno a quattro piedi, in quella superiore un registro a otto piedi e un meccanismo di controllo che permette alle tastiere di suonare unitamente.
Gli esordi
La scuola più antica di cembalari si sviluppò in Italia nel corso del XVI secolo. I clavicembali italiani differivano da quelli di altri paesi a causa degli spessori assai sottili di costruzione del corpo dello strumento, che contrastavano con le robuste casse all’interno delle quali gli strumenti venivano sistemati.
Un’altra importante scuola di costruttori prese piede fra il XVI e il XVII secolo nelle Fiandre, e crebbe particolarmente intorno ai cembalari della famiglia Ruckers.
Queste scuole furono i punti di riferimento fondamentali per le altre scuole nazionali, che si svilupparono nel corso del Settecento in Francia (con la famiglia Blanchet), in Germania (con la famiglia Hass) e in Inghilterra (con Jacob Kirckman).
I clavicembali delle diverse scuole variano fra loro nelle proporzioni e in alcuni importanti dettagli, che determinano forti differenze di timbro.
Sviluppi recenti
Nel corso del XX secolo si svilupparono due diversi metodi di costruzione dei clavicembali. Il primo utilizza tecniche derivate dalla costruzione del pianoforte moderno.
Questa impronta è evidente negli strumenti costruiti dalla ditta francese Pleyel, e fu incoraggiata da esecutori come la cembalista polacca Wanda Landowska.
Questi clavicembali montano corde sottoposte a una tensione assai elevata e possiedono dunque corpi pesantemente rinforzati. Altri costruttori hanno invece seguito la strada della costruzione basata su principi storici, rispettando proporzioni, tecniche e strutture originarie, in modo da avvicinarsi il più possibile agli strumenti antichi.
Uno dei pionieri in questo campo fu Arnold Dolmetsch, seguito pressoché subito dal tedesco Martin Skowroneck, a cui riuscì di costruire strumenti di nobile fattura, ma al tempo stesso leggeri e dotati di una proporzionata tensione delle corde.
CLAVICORDO
La forma più antica di strumento musicale a corde percosse e tastiera. Le corde sono tese fra le caviglie di accordatura all’estremità destra e i perni inseriti sul lato sinistro.
Il clavicordo, particolarmente diffuso fra il XV e il XVIII secolo, è tornato a essere utilizzato nel corso del Novecento.
Ogni tasto possiede a una estremità una piccola lamina di ottone, detta tangente. Quando l’esecutore preme il tasto, la tangente si solleva e percuote la corda.
In questo modo si può controllare l’intensità del suono ed è anche possibile produrre il vibrato (in tedesco Bebung).
La tangente si abbassa rilasciando il tasto e il suono viene definitivamente smorzato da feltri posti in prossimità del ponticello. Alcuni clavicordi antichi possedevano due, tre o quattro tangenti che percuotendo la corda a diverse altezze potevano produrre serie di note differenti. I clavicordi più recenti non recano più traccia di questo sistema. Un clavicordo tipico del XVIII secolo è lungo circa 2,5 metri, con un’estensione di cinque ottave.
Pur nell’ambito della sua caratteristiche delicatezza di timbro, il clavicordo può produrre una grande varietà espressiva. Alcuni compositori, in particolare nordeuropei, hanno colto al meglio le qualità dello strumento: pagine pregevoli sono state scritte al riguardo da Carl Philipp Emanuel Bach.
ARPA
Strumento musicale a pizzico, in cui il piano delle corde è perpendicolare a quello della tavola armonica. Le corde, parallele fra loro, sono tese fra la cassa armonica e la mensola.
Tipologie
Le arpe possono essere suddivise in tre categorie principali: arcuate, nelle quali la mensola e la cassa armonica formano una curva simile a quella di un arco; angolari, nelle quali la mensola e la cassa formano un angolo retto; e arpe a telaio, dove una terza parte, la colonna, viene aggiunta formando un triangolo con la cassa e la mensola.
L’arpa usata oggi in orchestra, intonata in do bemolle maggiore, possiede 46 o 47 corde e copre un’estensione di sei ottave e mezzo. Le corde gravi sono di metallo ricoperto, mentre le corde più acute possono essere di budello o di nylon.
Per poter eseguire le note alterate (diesis o bemolle), l’arpa possiede sette pedali che permettono di alzare di uno o due semitoni l’intonazione delle corde.
Origini
Le arpe arcuate, cioè gli esemplari più antichi di arpa a noi noti, erano diffuse in Mesopotamia e in Egitto fra il 3000 e il 2000 a.C., mentre quelle di tipo angolare comparvero solo in un secondo momento.
Queste ultime sopravvivono oggi in alcune parti dell’Africa, nel Myanmar, in zone della Siberia e in una ristrettissima area dell’Afghanistan.
Nel Medioevo, le arpe di tipo angolare furono molto impiegate nell’ambito della musica araba e persiana; in Persia sono state usate fino alla fine del secolo scorso. Le arpe a telaio, costruite e utilizzate quasi esclusivamente in Europa, fecero la loro apparizione nel IX secolo e si svilupparono in due versioni differenti.
La prima si diffuse in Irlanda e Scozia, la seconda sul continente. L’arpa irlandese e scozzese era caratterizzata da una cassa armonica grande e profonda, ricavata da un unico blocco di legno, una spessa e robusta mensola, e una colonna pesante e ricurva. Le corde, di ottave, potevano variare da 30 a 50 e venivano pizzicate con le unghie, producendo un suono particolarmente brillante.
Questo strumento fu utilizzato all’incirca fino al XIX secolo. Le arpe medievali delle altre zone d’Europa erano assai più piccole e leggere, e possedevano dalle 7 alle 25 corde, probabilmente in metallo, oltre a una cassa armonica di dimensioni ridotte.
A partire dal 1500, cominciarono a essere utilizzate corde di budello e si iniziò a sviluppare una forma di arpa più allungata, più alta, con una colonna diritta in grado di sopportare la tensione di un maggior numero di corde rispetto alla colonna sottile e incurvata utilizzata in precedenza.
Questa arpa, detta anche gotica, è lo strumento al quale fanno riferimento le arpe popolari dell’America latina, le arpe irlandesi moderne e anche l’arpa orchestrale.
Sviluppi successivi
La letteratura musicale, a partire dal XVI secolo, cominciò a richiedere un maggior numero di note rispetto a quelle che poteva emettere l’arpa a sette corde. Così si cominciarono a studiare strumenti con un maggior numero di note.
Si aggiunse una seconda fila di corde, in modo da ottenere anche i suoni cromatici (arpa doppia o cromatica); fecero la loro comparsa gli uncini di intonazione, che potevano innalzare la nota di un semitono, e più tardi furono aggiunti pedali collegati agli stessi uncini, e in seguito a dischetti rotanti, che controllavano l’altezza delle note. Intorno al 1720.
fu costruita la prima arpa a pedali, che consentiva di innalzare le note proprio di un semitono, permettendo di suonare in numerose tonalità.
Questo modello fu poi sorpassato dall’arpa con pedaliera a doppio movimento inventata nel 1810 da Sébastien Erard a Parigi.
CHITARRA
Strumento a corde della famiglia del liuto, fornita di un manico tastato e di un corpo composto da una tavola armonica, fasce laterali a forma di otto e fondo piatto.
Sulla cassa si apre un foro circolare che permette la diffusione del suono. Al corpo è aggiunto un manico tastato sul quale corrono sei corde, raccolte all’estremità del manico stesso dai piroli disposti in una paletta, e fermate dalla parte opposta da un ponticello incollato sulla tavola armonica.
Nella chitarra classica le corde sono di nylon (le tre più basse sono rivestite di materiale metallico di particolari leghe). Nella chitarra folk, generalmente le corde sono tutte di metallo.
L’accordatura è mi, la, re, sol, si, mi. Le dita della mano sinistra premono le corde sulla tastiera in modo da produrre le note desiderate, mentre quelle della mano destra pizzicano le corde, direttamente o mediante un plettro.
Esistono documentazioni iconografiche molto antiche di strumenti analoghi alla chitarra, ma la prima menzione della chitarra vera e propria risale al XIV secolo.
Questa si diffuse in Europa a partire probabilmente dalla Spagna, dove nel corso del XVI secolo divenne lo strumento più diffuso tra le classi popolari, in contrapposizione con la vihuela, tipica degli ambienti aristocratici.
Nella seconda metà del Settecento la chitarra raggiunse la forma che ancora oggi la contraddistingue, abbandonando le primitive corde doppie e adottando il corredo attuale di sei corde singole. I liutai dell’Ottocento ingrandirono la cassa armonica, ampliarono le curve delle fasce e cambiarono la posizione delle catene incollate sulla tavola armonica.
I piroli di legno furono sostituiti con altri di metallo. In Spagna e in America Latina sono ancora in uso chitarre di tutte le taglie, dal contrabbasso al soprano.
Abbastanza comune è la chitarra a dodici corde, che sono comunque accordate, a coppie, come quelle di una chitarra normale. La chitarra hawaiana, o steel guitar, viene tenuta sulle ginocchia dall’esecutore, e le corde non vengono premute dalla mano, ma da un cilindretto metallico.
Nell’ambito della musica classica, dopo i vertici raggiunti con Niccolò Paganini, la chitarra moderna raccolse i primi successi grazie soprattutto al compositore spagnolo Francisco Tarrega e al virtuoso Andrés Segovia.
CHITARRA ELETTRICA
La chitarra elettrica, sviluppata negli Stati Uniti a partire dagli anni Trenta, possiede generalmente una cassa compatta, non risonante: le vibrazioni delle corde, raccolte da un pick-up, vengono amplificate elettronicamente in un suono che lo stesso esecutore può controllare. Fu il musicista statunitense Les Paul a sviluppare i primi prototipi per le chitarre dette solid-body, e a diffonderle nel corso degli anni Quaranta.
Le sue capacità solistiche e di accompagnamento hanno fatto della chitarra elettrica lo strumento principe della musica pop e rock.
Del rock ha seguito passo passo la storia, fungendo anzi, alle origini, da cerniera tra il blues e il rock and roll (si pensi a chitarristi come B.B. King o Bo Diddley).
Tra gli altri grandi della chitarra dei decenni successivi si possono ricordare Eric Clapton (detto Slowhand: “mano lenta”) di derivazione blues, Carlos Santana e Al Di Meola, più vicino al jazz.
A questo genere appartengono i nomi di celebri chitarristi, quali il belga di origine tzigana Django Reinhardt, gli statunitensi Charlie Christian e Pat Metheny, nonché l’italiano Franco Cerri.
Ma il principe incontrastato della chitarra elettrica resta il grandissimo Jimi Hendrix, che con il suo sperimentalismo viscerale strappò allo strumento sonorità prima di allora inimmaginabili, le quali hanno costituito un punto di riferimento per tutte le generazioni successive.
LIUTO
Strumento a corde diffuso fra il XIV e il XVIII secolo e oggi ritornato felicemente in auge. Il liuto penetrò in Europa grazie ai contatti culturali con il mondo arabo.
Inizialmente lo strumento era pizzicato con un plettro e aveva quattro corde. Si trattava sostanzialmente di una variante dell”ud arabo, attualmente uno strumento con manico, che viene pizzicato con il plettro e può montare da quattro a sette serie di corde.
All’ud e al liuto risalgono la cobza rumena, il mandolino e la mandola medievale, che ricordano i liuti con manico corto apparsi in Asia Minore intorno al 700 a.C.
In Oriente questi strumenti dettero vita alla pipa cinese e alla biwa giapponese. Liuti con cassa piuttosto schiacciata e con manici lunghi furono conosciuti in Mesopotamia intorno al 2000 a.C.
Esempi moderni di liuti possono essere considerati il bouzouki greco e il shamisen giapponese. Il liuto ha sviluppato la sua forma classica intorno al 1500.
La tavola armonica è piatta e di spessore sottilissimo. La cassa, piriforme ed estremamente leggera, è costituita da una serie di doghe incollate fra di loro.
Legati intorno al manico e alla tastiera vi sono da sette a dieci tasti di budello. Sei coppie di corde sono collegate a una estremità ai piroli posti nel cavigliere (ripiegato all’indietro quasi ad angolo retto rispetto al manico) e dall’altra a un ponticello incollato sulla tavola armonica.
L’accordatura del liuto in quell’epoca fu la seguente: La-la, re-re’, sol-sol’, si-si, mi’-mi’, la (la prima corda era sovente singola).
Al centro della tavola armonica si trova il rosone, un foro di risonanza elegantemente decorato. La mano destra dell’esecutore pizzica le corde, mentre la sinistra le preme sulla tastiera per ottenere i suoni delle altezze desiderate.
Il compositore inglese John Dowland fu uno straordinario compositore di musiche per liuto, così come lo fu il virtuoso italiano Francesco Canova da Milano (1497-1543).
Il Liuto dell’età Barocca
All’inizio del XVII secolo, con l’avvento dell’età barocca, vennero aggiunte al liuto ulteriori corde nel registro grave. Queste corde non venivano solitamente tastate dalla mano sinistra, ma erano intonate diatonicamente secondo una scala discendente (fa/mi/re/do).
Per questi liuti, e per quelli con undici ordini di corde, alcuni compositori francesi, tra cui Denis e Ennemond Gaultier, hanno creato veri e propri capolavori musicali.
Furono inoltre costruiti in questo periodo strumenti derivati dal liuto e di dimensioni ancora più grandi. Fra questi si ricordino la tiorba (o chitarrone) e l’arciliuto.
Nel Settecento furono introdotte corde di budello filato in metallo (generalmente rame) che permettevano di ottenere sonorità differenti nella regione grave dello strumento.
I liuti tipici della Germania del XVIII secolo possedevano un primo cavigliere, direttamente conseguente dal manico, e un secondo cavigliere accolto al termine di una sezione aggiunta al primo. Il secondo cavigliere poteva accogliere da cinque a sette cori.
L’accordatura dei cori tastati era la seguente: La-la, re-re, fa-fa, la-la, re’, fa’ (le prime due corde erano generalmente singole). Per questo tipo di strumento ha scritto Johann Sebastian Bach.
CETRA
Strumento a corde senza manici o braccia nel quale le corde sono tese sopra una cassa o un risuonatore. In base a questa definizione lo zither sembrerebbe appartenere alla famiglia dei salteri e dei dulcimer, ma in realtà gli strumenti specificamente riconosciuti come zither sono tastati e diffusi essenzialmente in Europa.
Le due varianti maggiormente sviluppate sono presenti nella Germania meridionale e in Austria: questi modelli sono conosciuti con i nomi di Salzburg zither, di forma piatta lungo la parte tastata e incurvato dall’altro lato, e di Mittenwald zither, meno comune, incurvato da entrambi i lati.
Entrambi i modelli hanno una tavola armonica piatta con un foro di apertura circolare e sono solitamente dotati di cinque corde di metallo, tese al di sopra di una tastiera, utilizzate per realizzare la melodia.
Al di sotto di queste ultime sono presenti da 17 a 40 corde utilizzate per l’accompagnamento, solitamente costruite in nylon o in budello; l’esecutore ferma le corde premendole sulla tastiera con la mano sinistra, mentre il pollice della mano destra le pizzica con l’ausilio di un plettro digitale; le altre dita della mano destra pizzicano invece le corde di accompagnamento.
Le corde
Le corde utilizzate per suonare la melodia possono essere intonate in do sol re1 la1 la1 oppure do sol sol1 re1 la1 (sol = sol sotto al do centrale, sol1 = sol sopra al do centrale); le accordature delle corde di accompagnamento sono molto più varie.
Questi zither discendono dallo Scheitholt, simile ad alcuni zither diffusi nel Nord Europa e all’Appalachian dulcimer statunitense. Alcuni zither, come lo Streichzither, sono suonati con l’ausilio di un archetto.
Gli zither non appartenenti alla tradizione occidentale possono assumere varie forme, e comprendono talvolta anche tubi vuoti, come accade in Africa, oppure risuonatori posti all’estremità del manico, come nella bin dell’India settentrionale, oppure una tavola lunga e notevolmente incurvata, come negli strumenti cinesi qin e zheng e nel giapponese koto. Vedi anche Musica popolare.
MANDOLINO
Strumento a corde di origine italiana derivante dal liuto. Il mandolino possiede un corpo di tipo piriforme, e quattro coppie di corde accordate come nel violino (sol re la mi, partendo dal sol sotto al do centrale). È suonato con un plettro, generalmente con la tecnica del tremolo.
Le corde sono fissate a una cordiera di metallo situata fra la cassa armonica e la parte finale della tavola; queste scorrono dapprima sopra a un ponticello e raggiungono una cavigliera piatta dopo aver percorso tutta la lunghezza del manico.
Nella cavigliera trovano posto dei piroli meccanici che raccolgono le corde e permettono di intonarle. La tavola armonica è piegata dopo il ponticello, in modo da creare un angolo verso la cordiera.
In questo modo è possibile aumentare la tensione delle corde e ottenere così maggior brillantezza di suono. Al di sotto del foro ovale di apertura sulla tavola armonica trova solitamente posto un parapenna di madreperla o di materiale meno nobile.
Tra le diverse tipologie di mandolino, il mandolino napoletano è senz’altro il più noto. Numerosi i compositori che hanno scritto musiche per questo strumento, tra cui si ricordano Beethoven, Mozart, Vivaldi e Stravinskij.
BENGIO
Strumento della famiglia del liuto, formato da una cassa armonica aperta posteriormente, un corpo circolare in legno sulla cui parte superiore è applicata una tavola armonica in pelle (un tempo cucita e ora ancorata alla cassa tramite un sistema meccanico), un manico dotato di tasti, lungo e stretto, corde di metallo o di budello rivestito di metallo.
Le corde sono fissate, a una estremità, a una cordiera e, all’altra, a una paletta posta al termine del manico.
Nei modelli più antichi, la paletta accoglieva un certo numero di piroli per regolare la tensione delle corde.Oggi la tensione è regolata da un sistema meccanico.
Il banjo solitamente monta cinque corde, quattro delle quali si sviluppano per l’intera lunghezza del manico, mentre la quinta è messa in tensione da una piccola chiave meccanica posta a metà del manico; questa corda è di solito premuta dal pollice della mano sinistra dell’esecutore.
Una comune accordatura è la seguente (cominciando dalla quinta corda, quella più corta): sol1, do, sol, si, re1 (sol1 = sol sopra al do centrale; do = do sopra il centrale).
Sovente il corpo del banjo a cinque corde è sospeso in un risonatore di metallo o di legno. Il banjo è l’unico strumento della musica occidentale ad avere una tavola armonica di pelle.
Le origini del benjo
La sua origine va cercata in Africa, continente dal quale giunse in America nel corso del XVII secolo con la tratta degli schiavi. I primi esemplari di banjo presentavano un numero variabile di corde e manici non tastati.
Il banjo a cinque corde, pizzicato direttamente con le dita (sovente con l’ausilio di plettri digitali), è particolarmente utilizzato nell’ambito della musica folk, nel country e nel bluegrass. Il banjo a quattro corde, pizzicato con il plettro, fu utilizzato soprattutto a partire dagli inizi del secolo negli spettacoli di vaudeville e, in seguito, nel jazz.
SITAR
Strumento a corde della famiglia del liuto, diffuso nell’India settentrionale e utilizzato ampiamente nella musica indiana classica di questa regione.
Si presume che il sitar sia stato importato in India dalla Persia durante l’età Moghul (il termine sitar deriverebbe forse dal lemma persiano seh-tar, che letteralmente significa “tre corde”).
Alcuni studiosi ne attribuiscono l’invenzione al musicista di corte Amir Khusru, vissuto nel corso del XIII secolo.
Il sitar si presenta come leggermente più piccolo della più antica vina, un altro importante strumento indiano. Lo strumento è costruito solitamente in tek, e possiede una cassa armonica costituita tradizionalmente da una zucca vuota, ma oggi costruita anche in legno.
Il largo manico ospita una tastiera formata da sedici fino a venti tasti.
Questi ultimi sono leggermente incurvati e costruiti in ottone o argento; inoltre possono essere spostati a piacimento dall’esecutore in modo da poter eseguire tutti i diversi tipi di raga.
È possibile anche notare in alcuni modelli una seconda cassa di risonanza posta in prossimità della fine del manico. Le corde sono generalmente sette, di acciaio o di ottone: tre vengono utilizzate per eseguire la melodia, le altre per fornire un accompagnamento ritmico e di bordone.
Le corde vengono pizzicate tramite un plettro digitale o mizrab. Altre corde in acciaio (da undici a diciannove), che scorrono al di sotto della tastiera, suonano per risonanza e simpatia donando maggiore corposità al suono.
Queste ultime possono però essere a volte pizzicate con il dito mignolo. Il sitar è uno strumento estremamente versatile, in possesso di un suono argentino e delicato, in grado di esprimere al meglio il sentire ultimo dei ragas, ma anche di esaltare il virtuosismo degli esecutori, tra i quali spicca Ravi Shankar.
BALALAIKA
Strumento a corde della famiglia del liuto, principalmente diffuso in Russia. Possiede una cassa armonica triangolare e sostanzialmente piatta con un piccolo foro d’apertura sulla tavola armonica, un manico stretto e lungo, tre corde di budello o metallo.
Le corde sono solitamente pizzicate direttamente con le dita, ma a volte anche con un plettro, soprattutto se sono di metallo. Lo strumento può essere costruito in sei taglie differenti, dal soprano al contrabbasso, e deriva direttamente dalla domra o dombra, uno strumento simile diffuso in Asia centrale e in Siberia.
La taglia di balalaika più diffusa, il soprano, è solitamente accordata mi1 mi1 la1 (mi1 = mi sopra al do centrale).
BOUZOUKI
Strumento della famiglia del liuto, diffuso principalmente in Grecia, avente un lungo manico di circa 93 cm e una cassa piriforme di legno. Il manico può accogliere fino a 26 tasti di metallo; le corde possono essere raccolte in tre o quattro cori doppi e vengono pizzicate con un plettro.
L’accordatura relativa può essere la seguente: RE-LA-RE, oppure RE-LA-FA-DO. Lo strumento può essere utilizzato per l’accompagnamento di canzoni, ma anche per esibizioni virtuosistiche basate su modi derivati dalla musica turca (makams) o su melodie arabe.
Le composizioni più recenti e lo stile attuale preferiscono rifarsi alle scale maggiori e minori tipiche della cultura europea occidentale. Strumenti simili al bouzouki possono essere rintracciati in alcune zone della Turchia.
CETRA
Strumento musicale simile al liuto. La cetra presenta il fondo della cassa armonica piatto, e quattro o più corde doppie di metallo che corrono su un lungo manico e vengono pizzicate direttamente con le dita o con un plettro.
Il termine appare per la prima volta nel corso del XVI secolo, ma il suo nome deriva dalla kithara greca, uno strumento non del tutto simile diffuso in età classica in Grecia.
La cetra fu molto popolare nel corso del Rinascimento in tutta l’Europa, e numerose composizioni per questo strumento sopravvivono ancora oggi.
Il compositore italiano Paolo Virchi, il cui padre era un noto liutaio della scuola bresciana, si dedicò allo sviluppo dello strumento, per cui scrisse e pubblicò varie composizioni.
Il sistema di notazione utilizzato è quello dell’intavolatura a quattro linee. Dopo un periodo di decadenza, nel corso del XVIII secolo lo strumento conobbe nuova popolarità, particolarmente in Gran Bretagna.
CONTRABBASSO
Lo strumento più grave della famiglia del violino. Il contrabbasso raggiunge generalmente la lunghezza di 1,8 metri; possiede inoltre quattro corde accordate mi la re sol (mi = terzo mi sotto al do centrale; sol = secondo sol sotto al do centrale) e notate un’ottava sopra. Alcuni strumenti montano una quinta corda grave, accordata si.
Esistono inoltre strumenti nei quali la corda mi possiede una lunghezza vibrante maggiore rispetto alle altre: in questo caso essa viene raccolta in prossimità del riccio da un meccanismo aggiunto allo strumento stesso. Grazie a questo espediente è possibile modificare l’intonazione della corda fino al do più grave rispetto al mi.
Strumenti bassi con sole tre corde furono piuttosto comuni nel XVIII e XIX secolo, accordati la re sol. Oggi strumenti simili sopravvivono soprattutto nell’ambito della musica popolare dell’Europa dell’Est.
I primi strumenti, risalenti al XVI e XVII secolo, montano quattro o cinque (assai raramente sei) corde. Oggi può capitare di vedere strumenti utilizzati in orchestre da ballo che possiedono una quinta corda, aggiunta nel registro acuto e intonata do.
Fino al XIX secolo i contrabbassisti hanno utilizzato un archetto arcuato in maniera diametralmente opposta rispetto a quello degli altri strumenti della famiglia del violino.
Mentre infatti per questi ultimi la curvatura è rivolta verso i crini, nell’arco del contrabbasso la curvatura si allontana dai crini stessi. Fra i virtuosi di questo strumento si ricordano l’italiano Domenico Dragonetti, il direttore russo-americano Serge Koussevitzky e il jazzista statunitense Charlie Mingus.
UKULELE
Strumento musicale hawaiano. Si tratta di una piccola chitarra che si suona colpendo o pizzicando le corde con le dita o con il plettro. Possiede un manico tastato e quattro corde che sono accordate sol do mi la nell’ambito di un’ottava. Fu sviluppato verso la fine del XIX secolo nelle isole Hawaii da uno strumento simile di origine portoghese.
Noto anche come chitarra hawaiana, negli anni Venti entrò a far parte dei complessi jazz statunitensi.
TIORBA
Strumento musicale a corde pizzicate appartenente alla famiglia dei liuti. Simile all’arciliuto e al chitarrone, la tiorba è lo strumento più grande della famiglia e possiede un doppio manico: uno, collocato in posizione normale, presenta 14 corde che passano sopra un foro di risonanza e vengono premute come d’uso; l’altro, situato nel prolungamento del manico, con 10 corde che non passano sopra il foro di risonanza e si suonano a vuoto producendo suoni gravi.
Le sue corde, che sono semplici e non doppie, sono più larghe di quelle degli altri strumenti della famiglia; inoltre, le due acute sono intonate un’ottava sotto per evitare una tensione eccessiva.
Le origini della tiorba risalgono alla fine del secolo XVI e la sua invenzione si attribuisce all’italiano Antonio Bardi, fiorentino. Lo strumento veniva utilizzato come solista e, soprattutto, come basso continuo nell’accompagnamento sia di un gruppo strumentale sia di uno strumento solista. La tiorba venne introdotta in Francia da Jacques Maudurt agli inizi del XVII secolo.
SHAMISEN
Strumento a corde pizzicate originario del Giappone. Possiede tre corde e un manico non tastato. La cassa è rettangolare, di dimensioni contenute e con fianchi arrotondati. Il manico è piuttosto allungato, le tre corde possono essere di seta o di nylon.
Queste ultime vengono accordate, grazie a piroli d’avorio posti al termine del manico, per quarte o per quinte. Le corde vengono pizzicate con un plettro.
Lo strumento è costruito in modo tale da poter essere smontato e trasportato con facilità. È utilizzato normalmente per accompagnare racconti e storie, e anche nell’ambito del teatro giapponese delle marionette. È usato anche per accompagnare lunghe canzoni liriche (nagauta), che erano parte integrante dei drammi kabuki del XIX secolo.
Nello stesso periodo cominciò a essere utilizzato anche come strumento da concerto; oggi molti compositori scrivono musica per shamisen.
KOTO
Strumento musicale giapponese simile alla cetra, con 13 corde di seta o di nylon, tutte di eguale lunghezza e distese sopra una serie di ponticelli mobili che servono al tempo stesso per intonare le corde.
Lo strumento è accordato facendo riferimento a una scala pentatonica, ma l’altezza di ciascuna corda varia a seconda del modo utilizzato per la composizione.
L’esecutore si inginocchia a terra a lato dello strumento e pizzica le corde con la mano destra che utilizza tre plettri infilati nelle dita, mentre la sinistra sposta leggermente i ponticelli durante l’esecuzione o ferma le corde se sono richieste note di altezza diversa.
Il koto moderno può essere fatto risalire al tardo XVI secolo. In precedenza il termine era utilizzato per strumenti a corde pizzicate come la biwa. Lo strumento è utilizzato in una notevole varietà di combinazioni.
Il repertorio comprende musica di corte, musica vocale, brani strumentali e il tegotomono, che può raccogliere fino a sei composizioni vocali alternate a sezioni strumentali. I gruppi strumentali utilizzati per il tegotomono includono il shamisen e il flauto giapponese, che eseguono variazioni sulla linea melodica proposta dal koto. Vedi anche Musica giapponese.
KORA
Strumento a corde pizzicate, a metà tra un’arpa e un liuto, originario dell’Africa occidentale.
Lo strumento consiste di un lungo manico inserito in una grande cassa armonica sferica coperta da un piano armonico (che può essere in pelle di antilope o di mucca).
Le 21 corde sono sistemate in due file parallele di 10 e di 11 corde ciascuna, poste ad angolo retto rispetto alla tavola armonica su entrambi i lati di un ponticello provvisto di tacche.
Le corde sono tradizionalmente costruite in cuoio, ma oggi si sta diffondendo sempre di più l’uso del nylon. L’esecutore tiene lo strumento di fronte a sé tramite due maniglie in legno e pizzica le corde con il pollice e l’indice di entrambe le mani.
La kora è uno degli strumenti più importanti della musica africana, ed è rintracciabile in un’area che comprende paesi come Gambia, Senegal, Guinea-Bissau, Guinea, Mali, Burkina Faso e la zona settentrionale della Costa d’Avorio.
Lo strumento è suonato da musicisti professionisti, detti jali (plurale jalolu), in particolar modo per accompagnare composizioni vocali.
Ogni composizione viene eseguita seguendo una specifica accordatura. Queste ultime sono quattro in totale: tomora ba o sila ba, hardino, sauta e tomora mesengo.
E, DOLCI IN FONDO…
DULCIMERO
Strumento musicale con corde di metallo filato tese in cori (che possono comprendere da due a cinque corde) su una cassa armonica trapezoidale e percosse da martelletti impugnati dall’esecutore.
Il suono prodotto è vibrante e metallico. Il dulcimer, considerato antichissimo antenato del pianoforte, nacque forse come sviluppo del santur persiano.
Fu conosciuto in Spagna a partire dal XII secolo, e intorno al 1800 raggiunse la Cina, dove fu chiamato yangqin (“cetra straniera”). In tutta l’Europa il dulcimer è presente nella tradizione popolare, in varie forme, come lo svizzero Hackbrett, il cimbal ceco e il santouri greco.
Verso la fine del XIX secolo il dulcimer ungherese, il cimbalon, si sviluppò in uno strumento cromatico estremamente elaborato, fornito di quattro piedi e di una pedaliera simile a quella del pianoforte. Zoltán Kodály lo inserì nella partitura dell’opera Háry János (1926).
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Strumenti musicali a corda
Un pensiero su “STRUMENTI MUSICALI A CORDA”
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ottima descrizione con immagini
utile alla mia ricerca su strumenti a corda