IL TEATRO DEL VENTUNESIMO SECOLO                                                    

(di Gianni Nachira) 19/08/2016

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Mi chiedo spesso cosa rappresenti il teatro oggi, ma non riesco a farmene un quadro esatto, a tirar fuori una risposta a risultato certo. Del resto, teatro non è matematica, anti opinionista; esso rappresenta l’opinione a prescindere da ogni e qualsiasi formulario gli si voglia appiccicare addosso.

Ci sono forme di teatro che sono le più impensabili manifestazioni dell’essere umano e animale, esteriorizzate alla massima potenza. Significa semplicemente che l’attore tira fuori dal suo sacco dell’inventiva: mimo, vocalità, parole, gestualità e con queste sue varianti peculiari, riesce a soggiogare il pubblico trascinandolo nei suoi mondi fantasiosi in una drammaturgia tragica, tragicomica, comica, ilare, culturale. 

Ma non è questo il fulcro dell’argomento. Vorrei parlare di teatro seguendo una logica che è affine a quella dell’intera umanità che, come sappiamo, si fonda sul principio del valore aggiunto.

Ed è proprio quel valore che determina la cosiddetta scala. Su quella, stanno in basso gli indifferenti, o i barbari – secondo l’antico pensiero greco-  mentre sui gradini si postano le varie classi di individui, dalla minore alla più eccelsa e colta.

Con questa logica provo a tracciare a grandi linee  una lista delle diverse tipologie di teatro presenti che metto in evidenza.

  • AMATORIALE (dilettantistico – semi-dilettantistico)
  • SEMIPROFESSIONISTICO
  • PROFESSIONISTICO

L’amatoriale, si sa è quello che io definisco “INIT” (rubo il termine all’informatica),  un “primo processo” nascente da una volontà di gruppi sparsi di pochi elementi che, senza né arte né parte, decidono di intraprendere una sorta di cammino artistico (in piccoli centri urbani o in grandi città, la cosa non cambia).

Tutte le tipologie citate si cimentano poi nei generi teatrali e, fermandomi a quelli occidentali cito:

commedia, tragedia, dramma, farsa, mimo, lauda, mistero, moralità, tragicommedia, melo-dramma.

Non entro ovviamente nel merito delle differenziazioni tra i vari generi teatrali; mi soffermo, invece, a considerare l’accoglienza che viene riservata ai teatranti da parte del pubblico.

Prescindo dal teatro professionistico che, come si può immaginare è solo d’elite, riservato ai “cultori colti” e quindi anche non agibile per tutte le tasche.

Mi soffermo sul teatro un po’ più popolare e “popolano” (perdonate la sinonimia) che si offre un po’ a tutte le classi sociali e a tutte le tasche:

Il teatro, si sa, anche quello amatoriale è soggetto a costi di gestione elevati dovuti all’acquisto di vestiario, di attrezzature, e di altre spese oggettive (inutile elencarle).

Se il teatro amatoriale può ancora definirsi il più economico, lo è perché spesso gli stessi “attori” si creano il vestiario e le altre cose  preparandole da sé, frugando tra i vecchi abiti di famiglia o di amici e nelle cantine, spesso ricche di oggetti possibili che con qualche aggiustatina si possono proporre in scena.

La forma amatoriale generalmente non ha registi, ma un capogruppo che si improvvisa coordinatore di un idea scaturente dai suggerimenti di ciascun partecipante.

Una delle difficoltà dell’ “amatoriale” è dovuta alla non facile reperibilità in loco di soggetti attratti per passione dal teatro e spesso accade che gli stessi “attori in erba” abbandonano il campo, vuoi per impegni lavorativi o per altre cause che li costringono a mollare la scena:

Normale, direi, del resto il teatro richiede tempo, molto tempo, perché non è un hobby facile come quello della pesca: Oggi decido di andare a pesca all’alba e finisce lì; inoltre, non crea reddito, per cui non essendoci un impegno contrattuale, la cosa va finché va e poi la si molla senza tante storie.

Altra cosa è il teatro un po’ più impegnato quale il semi professionistico che richiede attori che abbiano una certa preparazione e che per farlo, giustamente necessitano di un compenso.

Da questo livello parte il teatro per la massa (che non è il teatro di massa del PCI del primo e secondo dopoguerra) che incomincia ad assumere carattere di tollerabilità artistica.

Difatti, nel semi professionismo si parte per crescere con l’intento di migliorarsi; ovvero, migliorano certi attori che diventando più bravi assurgono al professionismo. Resta dunque la forma teatrale nella tipologia su descritta, ma cambiano gli attori.

In questo nostro tempo, se si pensa che tutto sia cambiato si sbaglia; è improbabile che cambi, tutt’al più si modificano i costrutti, muta il linguaggio, si opta per il libertinaggio e l’osé nelle scene e nei contenuti ma… l’attore resta sempre tale e deve imparare a recitare, sì come imparò il geniale “Totò”,

 

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giusto per citarne qualcuno, altrimenti la “macchina teatro” si guasta.

Oggi il pubblico è esigente e non si accontenta più di assistere, piuttosto, vuole partecipare allo spettacolo.

IL VENTUNESIMO SECOLO 

Se il teatro popolare antico godeva di maggior successo lo era anche perché il pubblico era meno esigente e si accontentava di scenette allegre, di umorismo dozzinale o di sceneggiate approssimativamente culturali, oggi prevale l’esigenza di un teatro più altolocato pur restando popolano.

Ciò perché l’analfabetismo è stato debellato, perché i mezzi di comunicazione offrono l’immediatezza di notizie, perché i “media” hanno imparato a vendere il prodotto commerciale “teatro” attraverso TV e programmazioni di spettacoli in serie su tutto il territorio d’interesse.

Sono convinto, però, che anche se il teatro viene commercializzato in questo modo, ossia se si creano spettacoli a misura di mercato, ad eccezione di una serie di spettacoli di infimo livello, della bassa cultura, della eccessiva esaltazione di sensi e sensazioni apparentemente gradevoli, gli attori interpreti, manterranno il loro livello intellettivo e culturale che non permetterà loro di adagiarsi sull’offerta ( o domanda) del committente Media che lo chiama a recitare sul palco.

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Siamo ancora nel mondo del semi professionismo e sto raccontando le miriadi di varianti che il teatro contiene; è un po’ come dire: “Venite avanti, c’è posto per tutti”.

Ed è vero, in fondo, perché da questa esigenza di fare teatro di buon livello, si sono aperte vere e proprie scuole di teatro ovunque e non sono poche le compagnie che periodicamente richiedono nuove forze attoriali.

L’INTERVISTA

Per concludere, trascrivo una parte di un’intervista che un “moderno cantastorie siciliano”, un certo Carlo Barbera ha rilasciato alla giornalista Laura Rapicavoli della rivista “Sicilia è donna”, a proposito di teatro contemporaneo, eccola:

il teatro del ventunesimo secolo
Carlo Barbera, il cantastorie che fa teatro

Carlo Barbera, cantastorie della tradizione siciliana e attore teatrale si definisce un moderno cantastorie che rinnova in certi aspetti la tradizione e porta avanti con successo il teatro di un tempo riadattandolo alle esigenze di oggi.

Parliamo del messinese Carlo Barbera,  versatile artista che passa dal teatro, alla scrittura e al cinema  con la disinvoltura che solo gli autentici artisti possiedono innatamente, e che si racconta a Sicilia&Donna in vista dei numerosi impegni artistici che lo vedranno in scena e sul grande schermo nei prossimi giorni.

Carlo, la prima domanda che mi vien da porle spontaneamente è : perché la scelta del teatro della tradizione popolare siciliana e da ” cantastorie”?

(sorride) Beh, ammetto che  non è stata proprio una scelta, ma un modo per iniziare. Negli anni ho spaziato tra autori vari, De Filippo, Pirandello, Gay e Shakespeare. Ma il teatro popolare siciliano mi ha dato le prime basi per partire.

Ci sono opere di Martoglio, per esempio, che mi sono state congeniali e mi hanno dato modo di sperimentare la capacità di adattare il teatro d’un tempo alle esigenze di oggi. Poi ho sentito l’esigenza di un nuovo linguaggio espressivo.

Inizialmente  ho sperimentato il cabaret, ma non lo trovavo adatto a me; ho provato a studiare i cantastorie ed ho subito sentito un vero e proprio feeling.

Ci tengo però a dire che ho reinventato questo genere di spettacolo, anche se non sono mancati e non mancano momenti in cui rinnovo la tradizione, com’è stato a novembre scorso con “Lu gran duellu tra la morti e lu miliardariu” di Cicciu Busacca.”

Credi che  questa figura trovi ancora una sua importanza e, soprattutto, una collocazione nell’ambito della cultura artistica e del teatro siciliano contemporaneo?

“Mai come oggi l’arte del cantastorie è viva e proficua.

Chi si occupa di questo genere di spettacolo oggi racconta il mondo e lo fa spesso in maniera ironica e divertente, ma mettendoci dentro tanti spunti di riflessione.

Il Cantastorie di oggi direi che è una vera e propria fonte di denuncia sociale e politica. “La gente vuole ridere, ma su cose intelligenti”.

Tu come vedi e percepisci la realtà di oggi facendo teatro, con il tuo teatro?

“Una realtà durissima di indifferenza e assoluta ignoranza, nel senso che poca gente conosce il teatro e lo apprezza. Quando parlo di teatro mi riferisco ovviamente non al panorama ingolfato di gruppi dilettantistici e parrocchiali, ma a quanti vanno sul palcoscenico per comunicare e dare alla gente cultura, non soltanto risate o lacrime a buon mercato.

Per quanto riguarda gli enti pubblici e le scuole… stendiamo un velo pietoso.”

 Come sei arrivato al teatro…

“Ho cominciato la mia attività artistica all’età di 23 anni, con una chitarra regalatami da mio zio, che ancora uso e mi è servita per registrare il mio nuovo cd, che uscirà il giorno del debutto del mio prossimo teatro canzone, dal titolo Io Cantastorie, previsto il 22 marzo 2015.

Appena cominciato a suonare è scattata la mia vena di compositore e ho scritto circa un centinaio di canzoni in italiano, in cui si sente chiaramente il condizionamento della cultura cantautorale, che è stata la mia formazione musicale, particolarmente  Guccini e De Andrè.

Dopo anni di gruppi e gruppetti, a 22 anni ho debuttato, come attore e cantante, in una commedia musicale a Savoca, con la “Compagnia Liberi Attori Siciliani”.

Ma sono sempre stato un creativo e la cosa mi stava stretta, così, nel 1992, a 28 anni, ho fondato “La Bottega degli Attori”, con cui ho messo e metto in scena le mie opere oltre a testi di altri autori. 

Nel 2007 è arrivato il primo teatro canzone, Povira genti nui, con cui ho cominciato a fare il cantastorie.”

Che, dunque? Il teatro del ventunesimo secolo cos’è?  E’ passione, è linfa che genera vita immaginaria della realtà quotidiana che si identifica nel vivere comune della gente di ogni dove.

(Il teatro del ventunesimo secolo)

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Di Gianni Nachira

E' presto detto: Da lavoratore, una volta raggiunta la pensione, sono riuscito a prendere in mano il sacco dove per anni sono state rinchiuse le mie passioni in campo artistico. Non è stato facile, perché l'età e l'impossibilità di farlo a tempo debito hanno parlato chiaro: "NON PUOI". Al ché io ho risposto: "Ma davvero?" Allora mi sono cimentato a fare teatro, a fare musica. FARE, CREARE, senza mollare e nonostante le difficoltà che la vita ancora oggi mi pone ad ostacolo, proseguo imperterrito sfidando il fato che da quasi sessant'anni mi assegna una sorte avversa. In questo mio sito ho messo insieme una parte di me e continuerò a farlo perché rimanga traccia di una storia di vita forse banale, ma comune a molti.

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